Gabriele d'Annunzio.  D'ANNUNZIO  FOTO

 

Ero laggiù, nella Puglia piana, nel campo destinato alla mia dipartita per le Bocche di Cattaro

 

«Ero laggiù, nella Puglia piana, nel campo destinato alla mia dipartita per le Bocche di Cattaro, in quella Gioia del Colle che io rinominai Gioia della Vittoria». Lo scrisse nel 1922, nel suo italiano aulico, Gabriele d'Annunzio. Ricordava l'impresa del 1917, allorché bombardò la flotta austroungarica alla fonda in Dalmazia. «Non dovete aver alcun dubbio», aveva detto D'Annunzio ai suoi uomini prima del decollo da Gioia, in un'epoca in cui l'Europa era sconvolta dalla Prima Guerra mondiale. Aggiunse: «Tutti arriveremo al bersaglio. Tutti ritorneremo al campo. Siatene certi. Se la nostra volontà è diritta, la bussola non c'illuderà; se la stella del nostro cuore è fissa, la deriva non ci falserà la rotta». Ottantotto anni dopo, ieri mattina, nello stesso aeroporto, si potevano ascoltare queste parole: «Si parla tanto

 

 

 

d'Unione europea. Ma noi piloti militari l'unione l'abbiamo realizzata da molti anni. Cooperiamo, ci sentiamo unitissimi. Uniti anche nella lingua: parliamo tutti in inglese, chi con un accento, chi con un altro...». Lo ha detto ieri (15-12-2005, N.d.R.) - nella sala briefing dell'aeroporto militare di Gioia del Colle - il generale Pietro Valente, fotogenico comandante della «Divisione caccia Aquila». Con lui altri ufficiali italiani e il colonnello Beaf Mine, comandante dell'Allied Command Operation Tlp (Tactical Leadership Programm e): è la «superuniversità» della guerra aerea (vi aderiscono Italia, Francia, Spagna, Germania, Olanda, Stati Uniti, Belgio, Danimarca e Gran Bretagna), ha sede nella base belga di Florennes, ma in quest'occasione ha svolto le sue esercitazioni facendo base nello scalo pugliese. Dalla Grande guerra all'Unione europea odierna è passato quasi un secolo. Tanto, dal punto di vista di un essere umano, poco dal punto di vista storico. Di certo, oggi Gabriele d'Annunzio stenterebbe a riconoscere la «sua» Europa, dilaniata da guerre fratricide. Eppure il grande aero porto militare di Gioia - che oggi ospita velivoli ipertecnologici italiani e della Nato (come i 24 caccia Tornado, F16, F18, Mirage, Harrier del Tlp) - è lo stesso che nel 1917 ospitò quindici preistorici» biplani Caproni a tre motori, al centro di una delle tante clamorose imprese del battagliero Vate. Dunque, esattamente ottantotto anni e settantatrè giorni fa, il 4 ottobre del 1917, Gabriele D'Annunzio si lanciò nella notte con quegli aerei e cinquantasei uomini contro la flotta austriaca, nella difesissima base dalmata di Cattaro. Un'impresa mai affrontata prima: dovettero volare per quasi mille chilometri, tra andata e ritorno, sul mare aperto, col solo aiuto di bussole e stelle. Ci riuscirono, rientrando il 5 ottobre. Una storia epica raccontata negli anni Trenta da un altro eroe-pioniere dell'aeronautica, Italo Balbo (1896- 1940): «La squadriglia ... dal campo di Gioia del Colle sorvolò il mare per 400 km, e a notte alta bombardò il labirinto marino, le fortificazioni, le navi e i depositi. Altissime fiamme

 

 

si videro nella notte. Compiuta l'operazione, i grossi velivoli italiani nonostante la foschia rifecero la rotta raggiungendo incolumi, dopo sei ore di volo, il campo di partenza. “Secondo me - ebbe a scrivere D'Annunzio che partecipò all'azione - l'impresa di Cattaro è la più straordinaria che sia mai stata tentata da apparecchi attrezzati per volo su terra”. E veramente ancora oggi, fatta ragione al tempo e ai mezzi, quell'impresa ha del leggendario e del sovrumano".

PASTORI D'ABRUZZO

 


Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d'Abruzzi i miei Pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all'Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d'acqua natìa
rimanga ne' cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d'avellano.
 


E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!
 


Ora lungh'esso il litoral cammina
la greggia. Senza mutamento è l'aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquìo, calpestìo, dolci romori.

Ah perché non son io co' miei Pastori?

 

 

 

 

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